Il primo ricordo è
quello di una carriola capovolta. Mi divertivo a far girare la ruota avanti ed
indietro. Un altro gioco era costituito da un cerchio di legno che con una
asticella facevo correre lungo la strada. A quei tempi si poteva perché non
c’erano pericoli: non c’erano neppure le biciclette. Figuriamoci le macchine.
Un altro ricordo,
per me pieno di gioia è legato alla fine della guerra 15-18. Forse un
reggimento di soldati si era accampato vicino al caseificio ed io ricordo che
all’ora del rancio mi facevo trovare in mezzo ai soldati per poter immergere il
cucchiaio in qualche gavetta. Ricordo che questo mi dava una grande
soddisfazione, forse soltanto per il fatto di sentirmi ben accolto e persino
coccolato. Del resto a quei tempi non c’erano né asili, né scuole materne e
quindi la mia vita, come quella dei miei coetanei, si svolgeva tutta per
strada, a contatto con degli estranei. In prima elementare, a sei anni, non
sapevamo neppure tenere in mano la matita. La maestra ce la metteva fra le dita
e poi ci faceva fare le aste e ci
insegnava a contare sulle dita della mano. Quando poi si incominciava ad usare
la penna e l’inchiostro era un disastro di scarabocchi e di macchie sul
quaderno. Ricordo ancora la mortificazione di uno schiaffo che la maestra
Nicolini mi diede per una goccia di inchiostro che mi era caduta sul quaderno.
Gli anni a scuola trascorrevano lentamente e con poche soddisfazioni. In
campagna i bambini parlavamo il dialetto e non sapevano l’italiano. Anch’io ho
avuto le mie difficoltà e sono stato bocciato in terza elementare. Purtroppo
ognuno doveva rimanere nella propria situazione sociale e la scuola non aiutava
certo i figli delle classi subalterne ad emergere e risalire la scala sociale.
I miei studi sono terminati con la sesta classe alle serali. Allora a Carpi si
poteva fare fino alla settima, che forse corrispondeva a quelle che poi sono
diventate le scuole medie.
A sei anni avevo
iniziato a studiare musica con ottimi risultati e con grandi soddisfazioni e
così a 15 anni con la mia orchestrina ho cominciato a suonare nelle sale da
ballo. Questi sono stati gli anni della mia spensierata gioventù. Nel 1935 a 22 anni mi sono
sposato a Migliarina con la donna della mia vita, la mia Maria, con la quale
vivo tuttora. A Migliarina è nato anche il nostro primogenito Corrado al quale
avremmo voluto imporre un nome straniero, William. Ma già non si poteva perché
la dittatura fascista aveva vietato l’uso di nomi stranieri e succedeva anche
di peggio con i licenziamenti per chi non prendeva la tessera del fascio o per
la persecuzione e poi la deportazione degli ebrei. E poi il fascismo ci
trascinò in guerra.
Da Migliarina ci
dovemmo trasferire a Cibeno nel caseificio Crotti, per sostituire mio fratello
Duilio, richiamato al fronte. E lì nel 1942 è nata la nostra seconda figlia
Emilia. A Luglio del 1943 ho aderito alla lotta partigiana come responsabile
dell’assistenza alle famiglie bisognose, che avevano dei familiari in clandestinità. Il 16 gennaio del 1945 la
brigata nera in assetto di guerra arrivò al caseificio per arrestarmi. La sera
precedente era stato arrestato il responsabile della sussistenza di Carpi con
un carriolino pieno di carne. Sottoposto
a tortura aveva rivelato la provenienza della carne e fatto il mio nome. Io per
fortuna ero fuori casa e mi sono dato alla latitanza. In quella circostanza mi
fu affidato l’incarico di costituire il Comitato di Liberazione nella zona di Cibeno, San Marino e parte di
Budrione. Nel Comitato erano rappresentati tutti i partiti antifascisti ed io
ne fui nominato presidente, incarico che mantenni fino alla Liberazione.
Con quel ruolo
favorii anche la nascita della Casearia, un consorzio al quale aderirono subito
dieci caseifici con un bilancio unificato, allo scopo di proteggere i contadini
che conferivano il loro latte nei caseifici più esposti alle razzie di tedeschi
e fascisti. Era come una assicurazione che unificando le perdite garantiva a
tutti un minimo vitale per sopravvivere. A guerra finita furono costituite
anche altre casearie nei comuni di Soliera e di Novi. Poi finita l’emergenza
ogni caseificio riacquistò la sua autonomia.
I rischi corsi sono
stati tanti, ma sono orgoglioso di aver dato il mio modesto contributo, come
tanti altri alla liberazione del nostro paese dall’occupante straniero e dalla
dittatura fascista, insieme a mia moglie che era responsabile del Gruppo Difesa
della Donna. Per i meriti acquisiti io fui poi nominato consigliere nel
Consiglio Comunale della Liberazione di Carpi.
A guerra terminata, rientrato Duilio
dall’Africa, io mi sono trasferito al caseificio Tresinaro con la famiglia. Mia
moglie non avrebbe voluto ed ha cercato di persuadermi a rimanere a Carpi. Lei
voleva andare a lavorare in fabbrica, ed anch’io avrei potuto trovare un altro
lavoro, ma io ero nato casaro e mi sembrava di non poter vivere senza quel
lavoro.
Andammo quindi a
vivere, come dipendenti di una piccola cooperativa, in quel caseificio che mio
fratello aveva gestito privatamente per conto di tutti i fratelli Sacchi, fino
al Novembre 1944, quando fascisti e tedeschi ci portarono via tutto,
distruggendo col fuoco quello che non erano riusciti a rubare. La casa, una
vecchia catapecchia, che esteriormente ricordava la foto della casa di
Garibaldi, senza luce, senza acqua e con un cesso all’esterno, era addossata
alla casa di un contadino che si divertiva a farci ogni sorta di angherie. Per
arrivare in città bisognava percorrere in bicicletta, estate ed inverno, con
qualsiasi tempo, cinque chilometri di strada bianca sempre piena di buchi e di
sassi. Ricostruendo un po’ alla volta gli edifici lesionati e migliorando, per
quanto possibile la nostra condizione abitativa, siamo rimasti lì per 16 anni.
Dopo due brevi
periodi di lavoro come casaro in un caseificio alle porte di Carpi e poi a
Gaggio di Modena, ho abbandonato la vita di casaro e mi sono trasferito a
Bologna dove vivo tuttora con mia moglie Maria, vicino ai miei figli, ai nipoti
ed ai pronipoti.
Ho svolto anche
attività politica nel Partito Comunista e poi mi sono dedicato alla scrittura.
Ho scritto la storia della mia vita, Ricordare per Vivere, pubblicata nei
Quaderni Modenesi e conservata negli Archivi di Santo Stefano ad Arezzo. E poi
centinaia di articoli e brevi racconti, pubblicati da varie riviste e giornali.
In particolare mi preme ricordare con orgoglio le pubblicazioni del giornale
Ritrovarci al Benassi dell’omonimo circolo e due volumi della collana del dott.
Dante Colli, dedicati alla storia di Carpi. Immodestamente penso che mettendo
assieme tutti i miei scritti si potrebbe ricostruire un pezzo di storia
d’Italia degli ultimi cento anni. Per questa mia attività ho avuto la
soddisfazione di intrattenere, per qualche tempo, anche un rapporto epistolare
con il Prof. Romano Prodi, che, sebbene impegnato come Presidente del Consiglio
ha sempre voluto rispondere di persona ai miei scritti.
Voglio fare un
elogio particolare ed un ringraziamento pubblico a mia moglie, che, malgrado le
difficoltà, mi è stata sempre vicina e mi ha sostenuto in ogni momento.
Termino
riaffermando che la vita è un dono meraviglioso. Sono contento di averla
vissuta con gioia ed entusiasmo e spero di poter continuare a gioirne ancora
per qualche tempo.
Leone
Sacchi
Bologna 24/09/2012
Nessun commento:
Posta un commento