giovedì 9 gennaio 2014

LE DIVAGAZIONI DI UN VECCHIO COMUNISTA


Sono nato  Migliarina di Carpi nel 1913. In quel periodo la miseria nel nostro paese era grande, sia per la disoccupazione e sia per i prezzi poco remunerativi  dei prodotti agricoli, in particolare i prezzi di vendita. Nelle condizioni di allora il mestiere di casaro, che era quello della famiglia di mio padre, comportava delle grosse responsabilità per la buona riuscita del formaggio grana ed era anche molto pesante fisicamente, ma godeva di uno stipendio che permetteva di vivere e crescere i figli in condizioni migliori degli operai. Io poi sono stato più fortunato dei miei fratelli, perchè sono stato l’ultimogenito. I primi cominciarono prestissimo a lavorare nel caseificio e contribuirono a migliorare le condizioni economiche della famiglia. A sei anni mi iscrissi alle elementari e, contemporaneamente cominciai a frequentare un corso di musica. Cominciai così a suonare il violino del quale ero innamorato.
   Terminata la quinta elementare diurna e la sesta serale, a quindici anni, con una piccola orchestrina, composta di tre violini, chitarra e contrabbasso, incominciammo a suonare nelle sale da ballo, con un ottimo successo, per i tempi di allora.
   Il caseificio era vicino alla chiesa ove siamo stati battezzati ed educati alla religione cattolica. Sono stato segretario del Circolo degli Aspiranti, il circolo giovanile cattolico di Migliarina. Presidente per il comune di Carpi era Edoardo Focherini, martire deportato e morto nei campi di sterminio in Gemania, la cui memoria continua ad essere onorata dalla cittadinanza e dalle istituzioni civili e religiose della città.  Comunque rimane sempre vivo in me il ricordo di questa persona che ha contribuito alla mia formazione nei duri momenti della dittatura fascista e poi nella lotta partigiana, durante la quale, insieme a mia moglie, abbiamo dato il nostro modesto contributo.
   Nel periodo estivo, durante le vacanze scolastiche, ho frequentato l’oratorio di Carpi, gestito da Don Zeno Saltini, che, con sua sorella “Mamma Nina”,  hanno lasciato in tutti un ricordo indimenticabile per il bene profuso alla società. Conservo un ricordo particolare di Don Zeno nei giorni che seguirono la fine della guerra. In un discorso memorabile nella Piazza Martiri di Carpi, gremita di persone, egli disse in dialetto “ Fe du much”. Fate due mucchi. Il mucchio dei lavoratori e quello dei padroni e la vittoria sarà nostra. Questa è stata per grandi linee la storia della mia infanzia prima che la tragedia della dittatura fascista  trascinasse l’Italia nel baratro di una guerra che, per fortuna si è conclusa con la sconfitta del nazifascismo. Che se poi, per nostra disgrazia, avessero  vinto la guerra sarebbe stata una catastrofe inenarrabile.
    Avevo 8 anni, quando nel 1921 i socialisti vinsero le elezioni. Il malcontento era diffuso nel paese a causa della miseria e della disastrosa situazione economica nella quale versava l’Italia. Nel governo che si costituì c’erano diverse correnti politiche, senza un programma atto a risolvere i problemi del nostro paese. Avevamo una monarchia vacillante con un re incapace. In questa situazione fu facile per gli agrari italiani aprire una breccia. Assoldarono Mussolini, socialista,  direttore del giornale “L’AVANTI”, ed uomo ambizioso di potere. Mussolini in poco tempo formò le squadre fasciste uccidendo, bruciando le case del popolo e le cooperative, con la complicità del re Vittorio Emanuele III e nel 1924 si impadronì del potere con elezioni truccate. Giacomo Matteotti, che denunciò in parlamento le violenze perpetrate dai fascisti, venne assassinato. Gramsci, capo del partito comunista fu arrestato e poi morirà in carcere nel 1937. L’Italia era piombata nella più spietata dittatura che la storia ricordi. Il fatto grave che turbò la mia giovane coscienza fu che molti preti inneggiavano al duce, benedivano i gagliardetti  e dicevano che Mussolini era l’uomo inviato da Dio in Italia per fare grande la Patria. Dal canto mio, di fronte alla complicità dei preti con la violenza fascista, dissi ai miei genitori che non mi identificavo più in quella religione nella quale ero stato educato ai più puri sentimenti. Mi dimisi da segretario del Circolo degli Aspiranti, perdendo la credenza in quel Dio, nel quale ero stato educato.
    Nel 1921 a Livorno, in seguito alle divergenze sorte nel congresso socialista, si costituì il partito comunista capeggiato da Antonio Gramsci e da Palmiro Togliatti. Spinti anche dagli ideali del movimento comunista internazionale, che in Russia, sotto la guida di Lenin aveva conquistato il potere, i comunisti italiani furono fra i primi a ribellarsi alla dittatura fascista e furono anche i più numerosi fra i partigiani che immolarono la vita per la libertà.
   Ho fatto questa premesso  per arrivare a parlare di un episodio che mi ha turbato ed amareggiato tantissimo. Mi riferisco allo storico incontro della Bolognina, quando Occhetto, allora segretario del partito comunista, nel 1989, disse che avrebbe sciolto il partito comunista italiano perché, disse, era un partito totalitario e non so che altro a giustificazione della sua decisione. Io non ero presente, sia perchè la Bolognina è dalla parte opposta di Bologna, rispetto alla mia abitazione, sia perchè non facevo parte di quel gruppo. In seguito ho partecipato alla riunione al Villaggio Due Madonne di Bologna, quando i dirigenti della locale sezione Bordoni annunciarono lo scioglimento del partito.
Molte donne, madri di partigiani caduti per la libertà e molte altre che avevano perduto i propri cari piangevano e dicevano che cosa debbo dire ai miei figli del loro padre partigiano comunista caduto per la libertà? Questo è un ricordo doloroso che porto ancora dentro di me. Penso anche che colpe aveva la base comunista italiana. Se c’erano delle colpe queste dovevano essere attribuite ai dirigenti, in particolare a Togliatti, che è stato per tanti anni in Russia ed ha collaborato con Stalin. Spettava a lui, che era a capo del partito comunista italiano, prendere le distanze dalla politica di Mosca. Se ciò non è avvenuto non era il partito che doveva essere sciolto, ma erano da espellere i dirigenti del partito, per aver tradito la memoria di tutti quei comunisti che hanno immolato la vita per la libertà. Oggi, a novantatre anni compiuti, penso ancora  con amarezza allo scioglimento del partito comunista.  Vedo le sinistre divise in tanti partiti, ognuno dei quali cerca di tirare l’acqua al suo mulino. Divise come nel lontano 1921 e penso, dopo la recente ristretta vittoria elettorale, sapranno trarre, dalle esperienze del passato, la saggezza necessaria per marciare unite con un programma di governo, capace di portare l’Italia fuori dalla crisi che abbiamo avuto in eredità dal Sig. Berlusconi? La tragedia del nostro recente passato sia di monito per un governo di lunga durata che porti l’Italia e gli italiani alla ricostruzione del nostro paese nella pace, nel lavoro e nella libertà.
Concludo nella mia ingenuità dicendo che secondo me:
COMUNISMO VUOL DIRE COMUNIONE DEI BENI DELLA TERRA A BENEFICIO COMUNE DEL GENERE UMANO.
CAPITALISMO SIGNIFICA IL POTERE NELLE MANI DEI PIU’ FORTI E LO SFRUTTAMENTO DEI POPOLI COSTRETTI ALLA MISERIA ED ALLA FAME.

Questi sono i due sistemi che si contrappongono e che mettono in pericolo, con le armi in loro possesso, l’esistenza del genere umano. Io spero che prevalga la saggezza e che, attraverso compromessi si risolvano i problemi della fame nel mondo con la pace, per l’avvenire di tutta l’umanità che popola la terra.
Leone Sacchi

Bologna 25 aprile 2006

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