Sono nato Migliarina
di Carpi nel 1913. In quel periodo la miseria nel nostro paese era grande, sia
per la disoccupazione e sia per i prezzi poco remunerativi dei prodotti agricoli, in particolare i
prezzi di vendita. Nelle condizioni di allora il mestiere di casaro, che era
quello della famiglia di mio padre, comportava delle grosse responsabilità per
la buona riuscita del formaggio grana ed era anche molto pesante fisicamente,
ma godeva di uno stipendio che permetteva di vivere e crescere i figli in
condizioni migliori degli operai. Io poi sono stato più fortunato dei miei
fratelli, perchè sono stato l’ultimogenito. I primi cominciarono prestissimo a
lavorare nel caseificio e contribuirono a migliorare le condizioni economiche
della famiglia. A sei anni mi iscrissi alle elementari e, contemporaneamente
cominciai a frequentare un corso di musica. Cominciai così a suonare il violino
del quale ero innamorato.
Terminata la quinta
elementare diurna e la sesta serale, a quindici anni, con una piccola
orchestrina, composta di tre violini, chitarra e contrabbasso, incominciammo a
suonare nelle sale da ballo, con un ottimo successo, per i tempi di allora.
Il caseificio era
vicino alla chiesa ove siamo stati battezzati ed educati alla religione
cattolica. Sono stato segretario del Circolo degli Aspiranti, il circolo
giovanile cattolico di Migliarina. Presidente per il comune di Carpi era
Edoardo Focherini, martire deportato e morto nei campi di sterminio in Gemania,
la cui memoria continua ad essere onorata dalla cittadinanza e dalle
istituzioni civili e religiose della città.
Comunque rimane sempre vivo in me il ricordo di questa persona che ha
contribuito alla mia formazione nei duri momenti della dittatura fascista e poi
nella lotta partigiana, durante la quale, insieme a mia moglie, abbiamo dato il
nostro modesto contributo.
Nel periodo estivo,
durante le vacanze scolastiche, ho frequentato l’oratorio di Carpi, gestito da
Don Zeno Saltini, che, con sua sorella “Mamma Nina”, hanno lasciato in tutti un ricordo
indimenticabile per il bene profuso alla società. Conservo un ricordo
particolare di Don Zeno nei giorni che seguirono la fine della guerra. In un
discorso memorabile nella Piazza Martiri di Carpi, gremita di persone, egli
disse in dialetto “ Fe du much”. Fate due mucchi. Il mucchio dei lavoratori e
quello dei padroni e la vittoria sarà nostra. Questa è stata per grandi linee
la storia della mia infanzia prima che la tragedia della dittatura fascista trascinasse l’Italia nel baratro di una
guerra che, per fortuna si è conclusa con la sconfitta del nazifascismo. Che se
poi, per nostra disgrazia, avessero vinto
la guerra sarebbe stata una catastrofe inenarrabile.
Avevo 8 anni,
quando nel 1921 i socialisti vinsero le elezioni. Il malcontento era diffuso
nel paese a causa della miseria e della disastrosa situazione economica nella
quale versava l’Italia. Nel governo che si costituì c’erano diverse correnti
politiche, senza un programma atto a risolvere i problemi del nostro paese.
Avevamo una monarchia vacillante con un re incapace. In questa situazione fu
facile per gli agrari italiani aprire una breccia. Assoldarono Mussolini,
socialista, direttore del giornale
“L’AVANTI”, ed uomo ambizioso di potere. Mussolini in poco tempo formò le
squadre fasciste uccidendo, bruciando le case del popolo e le cooperative, con
la complicità del re Vittorio Emanuele III e nel 1924 si impadronì del potere
con elezioni truccate. Giacomo Matteotti, che denunciò in parlamento le violenze
perpetrate dai fascisti, venne assassinato. Gramsci, capo del partito comunista
fu arrestato e poi morirà in carcere nel 1937. L’Italia era piombata nella più
spietata dittatura che la storia ricordi. Il fatto grave che turbò la mia
giovane coscienza fu che molti preti inneggiavano al duce, benedivano i
gagliardetti e dicevano che Mussolini
era l’uomo inviato da Dio in Italia per fare grande la Patria. Dal canto mio,
di fronte alla complicità dei preti con la violenza fascista, dissi ai miei
genitori che non mi identificavo più in quella religione nella quale ero stato
educato ai più puri sentimenti. Mi dimisi da segretario del Circolo degli
Aspiranti, perdendo la credenza in quel Dio, nel quale ero stato educato.
Nel 1921 a
Livorno, in seguito alle divergenze sorte nel congresso socialista, si costituì
il partito comunista capeggiato da Antonio Gramsci e da Palmiro Togliatti.
Spinti anche dagli ideali del movimento comunista internazionale, che in
Russia, sotto la guida di Lenin aveva conquistato il potere, i comunisti
italiani furono fra i primi a ribellarsi alla dittatura fascista e furono anche
i più numerosi fra i partigiani che immolarono la vita per la libertà.
Ho fatto questa
premesso per arrivare a parlare di un
episodio che mi ha turbato ed amareggiato tantissimo. Mi riferisco allo storico
incontro della Bolognina, quando Occhetto, allora segretario del partito
comunista, nel 1989, disse che avrebbe sciolto il partito comunista italiano
perché, disse, era un partito totalitario e non so che altro a giustificazione
della sua decisione. Io non ero presente, sia perchè la Bolognina è dalla parte
opposta di Bologna, rispetto alla mia abitazione, sia perchè non facevo parte
di quel gruppo. In seguito ho partecipato alla riunione al Villaggio Due
Madonne di Bologna, quando i dirigenti della locale sezione Bordoni
annunciarono lo scioglimento del partito.
Molte donne, madri di partigiani caduti per la libertà e
molte altre che avevano perduto i propri cari piangevano e dicevano che cosa
debbo dire ai miei figli del loro padre partigiano comunista caduto per la
libertà? Questo è un ricordo doloroso che porto ancora dentro di me. Penso
anche che colpe aveva la base comunista italiana. Se c’erano delle colpe queste
dovevano essere attribuite ai dirigenti, in particolare a Togliatti, che è
stato per tanti anni in Russia ed ha collaborato con Stalin. Spettava a lui,
che era a capo del partito comunista italiano, prendere le distanze dalla
politica di Mosca. Se ciò non è avvenuto non era il partito che doveva essere
sciolto, ma erano da espellere i dirigenti del partito, per aver tradito la
memoria di tutti quei comunisti che hanno immolato la vita per la libertà.
Oggi, a novantatre anni compiuti, penso ancora
con amarezza allo scioglimento del partito comunista. Vedo le sinistre divise in tanti partiti,
ognuno dei quali cerca di tirare l’acqua al suo mulino. Divise come nel lontano
1921 e penso, dopo la recente ristretta vittoria elettorale, sapranno trarre,
dalle esperienze del passato, la saggezza necessaria per marciare unite con un
programma di governo, capace di portare l’Italia fuori dalla crisi che abbiamo
avuto in eredità dal Sig. Berlusconi? La tragedia del nostro recente passato
sia di monito per un governo di lunga durata che porti l’Italia e gli italiani
alla ricostruzione del nostro paese nella pace, nel lavoro e nella libertà.
Concludo nella mia ingenuità dicendo che secondo me:
COMUNISMO VUOL DIRE COMUNIONE DEI BENI DELLA TERRA A
BENEFICIO COMUNE DEL GENERE UMANO.
CAPITALISMO SIGNIFICA IL POTERE NELLE MANI DEI PIU’ FORTI E
LO SFRUTTAMENTO DEI POPOLI COSTRETTI ALLA MISERIA ED ALLA FAME.
Questi sono i due sistemi che si contrappongono e che
mettono in pericolo, con le armi in loro possesso, l’esistenza del genere
umano. Io spero che prevalga la saggezza e che, attraverso compromessi si
risolvano i problemi della fame nel mondo con la pace, per l’avvenire di tutta
l’umanità che popola la terra.
Leone Sacchi
Bologna 25 aprile 2006
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