giovedì 9 gennaio 2014

LA RIDICOLA STORIA DEL MIO SERVIZIO PREMILITARE

    
         Prima di iniziare la storia voglio precisare che, a seguito di un incidente in bicicletta, che mi provocò l’atrofia del nervo ottico fui esonerato dal servizio di leva e da tutti gli altri obblighi militari. Malgrado ciò fui costretto a frequentare il servizio premilitare. Durante la dittatura fascista c’era l’obbligo di fare un servizio premilitare di addestramento all’uso delle armi, un anno prima del servizio militare di leva. Normalmente tale servizio premilitare si svolgeva la domenica mattina, quando quasi nessuno aveva impegni di lavoro. A Carpi, ove io abitavo, l’addestramento si svolgeva nel parco adiacente alla scuola comunale, che era noto col nome di “Gioco del pallone”.
Da questo servizio io ero stato esonerato per il lavoro di casaro, che svolgevo a fianco di mio padre e che richiedeva la mia presenza anche di domenica. Però avevo l’obbligo di frequentare un corso serale, che si svolgeva una volta la settimana sui banchi della scuola comunale. Il lavoro si svolgeva in gran parte sul moschetto. Quando gli insegnanti davano l’ordine di prelevare i pezzi del moschetto, tutti correvano per essere i primi ed avere i pezzi principali. Io me ne stavo seduto. Andavo per ultimo e, siccome i pezzi non erano sufficienti per tutti, io rimanevo sempre senza ed assistevo al lavoro degli altri.
    Queste cose si ripeterono per tutta la durata del corso premilitare serale. Lo studio che normalmente si faceva consisteva quindi nell’esaminare i pezzi, montarli e smontarli per poi mettere il moschetto in posizione di sparo. Dopo un periodo di addestramento, una domenica mattina ci portarono al poligono di tiro di Cibeno di Carpi, quello diventato poi tristemente famoso per la fucilazione di 67 prigionieri prelevati dal campo di concentramento di Fossoli.  Lì, sdraiati, ci facevano prendere la mira per centrare il bersaglio.
   Quando giunse il mio turno gli istruttori constatarono allibiti che io non sapevo ancora mettere il moschetto in posizione di sparo. Se vollero che io sparassi, fu giocoforza che la posizione di sparo la mettessero loro. Però li sentii commentare, mentre brontolavano, che il moschetto era anche difettoso. Quello è stato l’unico colpo di fucile che ho sparato in vita mia, ma  nessuno ha mai saputo dove sia finito.
    Dopo questa esperienza al poligono di tiro di Cibeno, riprendemmo le solite lezioni sui banchi di scuola fino agli esami del corso premilitare.
    Prima di proseguire il racconto voglio fare una piccola parentesi per raccontare un fatto di cui ancora oggi vado orgoglioso. Mio padre era casaro ormai da 35 anni nel caseificio di Migliarina.  Eravamo nel 1935 quando il presidente del caseificio comunicò a mio padre che, se non prendeva la tessera del partito fascista, in base alle leggi vigenti, erano costretti a licenziarlo. Dopo un consiglio di famiglia, mio padre rispose che non avremmo mai preso la tessera fascista. Di quella decisione presa allora vado ancora orgoglioso.
 La domenica prima degli esami ci radunarono nel piazzale all’interno del palazzo dei Pio. Il podestà di Carpi ci tenne un discorso di esaltazione del fascismo, dicendo che per noi era l’ultima possibilità di avere l’onore della tessera del fascio. Poi distribuirono dei moduli di adesione al Partito Nazionale Fascista, che dovevamo compilare e consegnare la domenica successiva all’atto dell’esame. Io rifiutai il modulo dicendo che quando avessi deciso di iscrivermi avrei saputo a chi rivolgermi.
    Gli esami si tennero il 17 gennaio del 1931 nella caserma della Milizia Volontaria Nazionale, che aveva sede all’interno del castello dei Pio. Io mi ero portato una lettera di raccomandazione del parroco di Mandrio di Correggio (RE), nella quale si sollecitavano gli esami perché ero impegnato a suonare nella chiesa in occasione della sagra del paese. E così  fui il primo ad essere esaminato.
 Appena entrato mi diedero in mano un moschetto e mi ordinarono di mettermi in posizione di sparo. Io presi il moschetto e feci del mio meglio per prendere la mira. Bestia, mi sentii dire, non vedi che c’è ancora la sicura?  E, come era successo la prima volta, toccò agli esaminatori di togliere la sicura. Però, malgrado tutto, dopo alcune domande, di cui non ricordo nulla, fui promosso a pieni voti e, senza ulteriori difficoltà, potei recarmi a suonare in chiesa.
    Purtroppo non fu altrettanto facile per gli altri giovani che sostennero l’esame dopo di me. Molti presentarono il modulo di iscrizione con una dichiarazione dei genitori che asserivano di non volere che i loro figli prendessero la tessera.  Tutti furono costretti a prenderla pena la minaccia di arresto dei genitori.
Così il 17 gennaio del 1931 ebbe fine la pagliacciata della premilitare, alla quale ero stato costretto a prendere parte.

Sacchi Leone                                 Bo. 21/02/2005

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