Mi accingo a scrivere la storia del nostro passato che va
dall’immediato dopoguerra del 1915-18. Probabilmente se tornassero al mondo i
nostri antenati, la loro storia potrebbe essere anche peggiore di quella che mi
accingo a raccontare.
La guerra del 1915-18 era finita e vinta. La miseria, anche
per causa delle spese sostenute per la guerra stessa, era aumentata. In quel
periodo il nostro paese era in prevalenza agricolo.
L’agricoltura era ancora priva dei mezzi meccanici. La terra
veniva arata con un aratro trainato dai buoi. La vite era sostenuta da filari
di olmi. Il solfato e lo zolfo venivano irrorati con delle pompe a mano. Questi
prodotti erano e sono necessari ancora ora per salvare le viti e l’uva. Nelle
nostre campagne mancava ancora la luce elettrica. L’illuminazione veniva fatta
con delle lumiere a petrolio. Queste erano le condizioni di lavoro e di vita in
cui si trovava gran parte della popolazione. Nelle case non c’erano le stufe.
Si usava il camino, soltanto per gli usi indispensabili. Le famiglie,
d’inverno, si radunavano nelle stalle, riscaldate dal calore che emanavano le
mucche. Non c’era moneta circolante. I prodotti agricoli costavano poco, ma la
povera gente non aveva neanche il poco. Così dicasi anche dei contadini che,
all’atto della vendita dei loro prodotti, riuscivano a mala pena a coprire le
spese sostenute nel corso dell’anno. Gli esercenti dei negozi alimentari per
riuscire a vendere facevano a credito. I contadini pagavano i loro debiti con
la vendita dei loro prodotti. I braccianti per far fronte ai loro debiti si
adattavano a fare qualsiasi mestiere. Le donne per far quadrare il bilancio
famigliare, svolgevano anch’esse diversi lavori. Nel periodo della monda del
riso andavano in gruppo in Piemonte. Il viaggio era pagato dal datore di
lavoro. Veniva effettuato in treno sui vagoni bestiame. Il domicilio erano gli
stalloni ove prima venivano tenuti i cavalli. Il letto era un giaciglio di
paglia. Il lavoro era estenuante, piegate per ore ed ore nell’acqua. Il pasto
giornaliero era di due etti di pane al giorno e di due scodelle di riso e
fagioli. In caso di malattia dovevano aver fatto otto giorni di lavoro per
pagare il viaggio di ritorno a casa, altrimenti dovevano aiutarle le compagne
di lavoro con delle ore di straordinario. Malgrado ciò erano contente. Dopo 50
– 60 giorni di un lavoro bestiale erano contente di portare a casa i soldi per
pagare i debiti contratti con il bottegaio. In quel periodo c’era anche il
lavoro del truciolo e delle trecce di paglia. A Carpi c’erano le fabbriche del
truciolo, nelle quali gli operai facevano le paglie ricavate dai tronchi dei
pioppi. In ogni frazione c’erano le “partidanti” che andavano a prendere le
paglie dai datori di lavoro e poi in casa raccoglievano delle donne che
facevano le trecce e venivano pagate in base ai metri di lavoro svolto. In
altri casi le donne si portavano il lavoro a casa, cosicché alla sera
lavoravano tutti, grandi e bambini. Le trecce venivano usate per fare i
cappelli di paglia, molto in voga e richiesti in tutti i paesi.
Il cappello veniva cucito a mano su una calotta. In casa le
donne lavoravano anche fino a notte inoltrata per racimolare il minimo
indispensabile per l’acquisto degli indumenti famigliari.
Nel 1921 ci furono
le elezioni politiche che furono vinte dalle sinistre, capeggiate da Turati,
Giolitti ed Amendola. All’interno del governo non c’era un programma ben
definito, atto a risolvere i bisogni del paese. Da questo stato confusionale fu
facile il gioco dei capitalisti. Essi trovarono in Mussolini, allora direttore
del giornale socialista “L’AVANTI”, l’uomo ambizioso di potere, fu facile la
corruzione. Egli, con l’appoggio dei capitali fornitigli dagli agrari fondò il
partito nazionale fascista. Organizzò squadracce fasciste che di notte
devastavano e bruciavano le cooperative di generi alimentari e le camere del
lavoro, sempre sotto gli occhi benevoli della polizia. Questi squadristi
partivano in gruppi sopra ai camion con i manganelli. Portavano le camicie nere
ed in testa avevano un fez con il disegno di un teschio. Inneggiando al duce saltavano
addosso a dei malcapitati, già segnalati dalle spie, li riempivano di botte e
gli facevano bere l’olio di ricino.
Nel 1921 dalla
scissione del partito socialista nacque il partito comunista, fondato da
Palmiro Togliatti e da Antonio Gramsci. Nel frattempo Mussolini stava
preparando la pagliacciata della marcia su Roma. Il re, con la monarchia
barcollante, incapace di reggere ai bisogni del paese, si aggrappò a Mussolini
ed al fascismo e, con la speranza di
dare lustro, con questa alleanza, a sé stesso ed alla monarchia, gli affidò
l’incarico di costituire il nuovo governo.
Mussolini, forte del potere acquisito, fondò delle caserme
in tutta l’Italia con le milizie fasciste che spadroneggiavano, creando nel
paese la più spietata dittatura. Mussolini nei suoi discorsi prometteva mari e
monti, però la miseria e la disoccupazione erano stagnanti. Nel 1924 Mussolini
indisse le elezioni politiche nazionali per convalidare il suo potere. I seggi
erano presieduti da fascisti e le schede erano già preparate. Gli elettori che
si presentavano al seggio dovevano solo convalidarle senza entrare nel seggio.
Chi invece voleva entrare nel seggio evidentemente esprimeva dissenso e perciò
veniva in seguito riempito di botte. In questo modo il successo del listone
fascista era assicurato.
Giacomo Matteotti, con un discorso in parlamento che
commosse l’opinione pubblica, denunciò i brogli commessi. All’uscita dal
Parlamento venne prelevato da due sicari fascisti, Dumini e Volpi e quindi
assassinato. La stessa sorte toccò ai fratelli Rosselli, assassinati in
Francia. In questo clima di terrore, chiunque fosse sospettato di antifascismo
veniva arrestato e messo in galera o al confino. Gli esponenti politici più
noti al fascismo furono costretti all’esilio o arrestati e condannati
all’ergastolo dal tribunale speciale fascista, come Pertini, Gramsci ed altri.
In questo modo ebbe inizio la più spietata dittatura fascista in Italia. Nel
1929, in seguito al crollo della borsa americana, la nostra lira rimase quasi
priva di valore. Viceversa di altri casi, i prodotti di qualsiasi genere
precipitarono a zero. Oltre all’aumento della miseria, tutti coloro che avevano
acquistato case o terreni con i mutui concessi dalle banche furono costretti al
fallimento perchè il valore del debito contratto superava il valore del bene
acquistato. Intanto Mussolini con i suoi discorsi cercava di illudere gli
italiani che la crisi era ormai risolta e che presto avrebbero avuto la
possibilità di un lavoro. Nel 1935, per dare lustro ed un po’ di fumo negli
occhi degli italiani, Mussolini occupò con la forza delle armi l’Etiopia e
l’Albania, due paesi poveri. Questo servì a Mussolini soltanto per dimostrare
al mondo che l’Italia era diventata un impero. Ed il re Vittorio Emanuele Terzo
si foggiò della corona di “Re d’Italia e Imperatore di Etiopia ed Albania”.
Ma anche questa fu un’illusione di breve durata.
Gramsci di fronte
al tribunale speciale fascista aveva detto:
“IO SO CHE VOI CONDURRETE L’ITALIA ALLA ROVINA E SAREMO NOI
CHIAMATI A RICOSTRUIRE QUELLO CHE VOI AVRETE DISTRUTTO”
Gramsci morì in prigione nel 1937.
Purtroppo al tragedia del popolo italiano non era ancora
finita. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 al fianco della Germania
nazista di Hitler provocherà all’Italia ed agli italiani la più grande
catastrofe che la storia ricordi
08-01-2006
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