giovedì 9 gennaio 2014

LA STORIA ED I RICORDI DEL NOSTRO PASSATO Fatti di normale ingiustizia


Durante la guerra, nel periodo 1940 – 45 ero casaro alle dipendenze della cooperativa del caseificio Crotti a Cibeno di Carpi.
Verso la metà del 1943 presi parte alla lotta partigiana in qualità di responsabile dell’assistenza per le frazioni di Cibeno e San Marino di Carpi.
Verso la metà del 1944 nelle porcilaie del caseificio iniziammo la macellazione dei maiali sottratti al vincolo dei nazifascisti. Si trattava di animali che dovevano essere consegnati agli occupanti tedeschi per le loro esigenze alimentari e che invece venivano macellati di nascosto e messi a disposizione dei partigiani e dei loro familiari, che si trovavano in ristrettezze economiche, non potendo neppure usufruire del poco che veniva normalmente fornito dal regime con le tessere annonarie.
A seguito della cattura di un partigiano addetto alla distribuzione delle carni l’attività fu scoperta ed il 16 gennaio del 1945 la brigata nera, in assetto di guerra, circondò il caseificio, dove ormai non c’erano più i maiali, ma erano rimaste le tracce della macellazione clandestina.
Per fortuna quella mattina io ero uscito e potei darmi alla latitanza. Rimasi nascosto fino alla liberazione, continuando la lotta clandestina. Fui ospitato da dei contadini, che rischiavano la fucilazione nel caso io fossi stato scoperto.  
Terminata la guerra mi trasferii con la famiglia nel caseificio Tresinaro. Questo caseificio durante la guerra era stato gestito in proprio dai noi fratelli Sacchi ed era stato una importante base partigiana ai confini fra Carpi e Correggio. In seguito ad uno scontro armato fra i partigiani e la brigata nera, i fascisti ed i tedeschi rubarono e saccheggiarono tutto e poi diedero alle fiamme l’edificio. In quel caseificio, ricostruito alla benemeglio, fui assunto come dipendente e ci rimasi con la mia famiglia per 16 anni, dal 1946 fino al 1962.
Finita la guerra,  nell’Italia finalmente liberata,  venne eletto il nuovo governo, presieduto da De Gasperi per la Democrazia Cristiana e con Togliatti, per il Partito Comunista, come ministro della Giustizia. L’Italia era uscita dalla guerra distrutta economicamente e materialmente. Per placare gli animi e per una più rapida ripresa economica del nostro paese – si disse allora – Togliatti promulgò il condono per tutti coloro che avevano indossato una divisa militare. Di questo condono beneficiarono immediatamente tutti quelli che avevano fatto parte della famigerata Brigata Nera. Così non fu per i partigiani, che poterono usufruire soltanto di un periodo limitato per entrare nel condono. A distanza di tanti anni io ritengo che quello fu un grave errore, perché molte delle azioni commesse dai partigiani per cause di guerra furono giudicate delitti civili ed i loro autori furono condannati a lunghe pene di detenzione.
   A questo proposito voglio raccontare soltanto un episodio. Dopo l’8 settembre 43, due fratelli di Fossoli di Carpi, figli di contadini, tornarono a casa e non risposero alla chiamata alle armi della repubblica di Salò. A seguito di una soffiata, vennero presi, gettati nel pozzo di casa ed uccisi là in fondo a colpi di rivoltella, alla presenza dei genitori. Io sono ancora convinto che, in quel caso i partigiani hanno fatto soltanto quello che doveva fare l’autorità statale prima del condono.
   In questo clima, ed anche per riconoscenza verso quella gente che aveva ospitato me, nei momenti terribili della repressione fascista, io aprii la mia casa ai partigiani che erano stati condannati ad anni ed anni di galera ed erano in attesa di espatriare, in gran parte in Cecoslovacchia.
    In quegli anni fu ospite a casa nostra un partigiano, “Michele” era il suo nome di battaglia, che era stato condannato a 23 anni di carcere. Era a casa nostra quando ricevette la notizia che era morto suo padre. Era disperato per non averlo potuto salutare un’ultima volta e per non poter neppure partecipare ai funerali. Per lenire tanta sofferenza invitammo a casa nostra sua madre, per il giorno di Pasqua, credo dell’anno 1955, in modo da farle trascorrere un giorno insieme al figlio. Purtroppo però proprio il giorno prima venne l’ordine di espatrio e Michele dovette partire senza neppure poter parlare con sua madre. Quando nel 1957 mio figlio andò a studiare a Mosca si incontrò con Michele e gli propose di parlare per telefono con sua madre. La cosa era piuttosto complicata per varie ragioni. La madre di Michele abitava a Spilamberto ed io non avevo il telefono. Ci si doveva servire di quello di una amica e per di più le telefonate si dovevano prenotare ed avvenivano tramite operatore. Ovviamente, dato il clima della guerra fredda, i controlli sui telefoni erano assicurati, costanti e venivano effettuati da entrambe le parti.
La telefonata la faceva mio figlio da Mosca, però quando gli dicevamo “ti passo la nonna” lui cedeva il microfono a Michele che così poteva parlare con sua madre. Noi ci eravamo raccomandati  con la mamma di Michele di non fare nomi al telefono, ma lei, ormai anziana, presa dalla commozione cominciò a parlare dei parenti facendone anche i nomi. Questo fece sì che la cosa non si poté più ripetere, ma almeno una volta si erano sentiti dopo tanti anni di lontananza.
In ogni caso da quel giorno, tutte le volte che io o mia moglie o mia figlia andavamo a Carpi eravamo sempre e sistematicamente seguiti da una persona in borghese, sempre la stessa, che seguiva ogni nostro passo. Da un certo momento in poi, la cosa divenne così abituale e sistematica che arrivammo a scambiarci il saluto. Addirittura una mattina si presentò a casa nostra, al Tresinaro, un giovane con una vecchia motocicletta, vestito da meccanico. Ci disse che veniva per conto della federazione del Partito Comunista di Bologna, perché andava a Mosca ed aveva bisogno dell’indirizzo di Biagi Michele, per consegnargli indumenti e generi vari. Ovviamente noi non cademmo nel tranello e lui se ne andò infuriato dicendo che sarebbe ritornato con le credenziali. Si arrabbiò ma non tornò più.
Questo partigiano Michele, in realtà si chiamava Borghi Francesco ed era originario di Spilamberto. Ritornò in patria solo dopo il condono, intorno agli anni 60, e poté riabbracciare la madre dopo  diciassette anni di lotta partigiana, prima e di esilio poi.
   Ma questo è stato soltanto uno dei tanti partigiani perseguitati dopo la Liberazione e non è stato neppure il solo ad essere stato nascosto a casa mia. Anzi, a questo proposito voglio ricordare un fatto curioso. Quando mia moglie decise di andare a trovare nostro figlio che studiava fisica all’Università di Mosca, si rivolse alla federazione del PCI di Modena per il passaporto ed i visti. Ma a quei tempi i nostri compagni non conoscevano bene le regole e non le fecero fare il visto per la Cecoslovacchia. Aveva solo quello per l’URSS, ma viaggiando in treno servivano anche i visti di passaggio. Fortuna volle che su quel treno viaggiasse una delegazione di tessili di Torino dirette a Praga. Avevano un visto collettivo per 16 persone e ne mancava una. La inserirono nel gruppo ed arrivò a Praga. Ma come proseguire? Attraverso i compagni della direzione riuscì a contattare i compagni di Radio Praga, fra cui alcuni che erano stati a casa nostra. La accolsero a braccia aperte e le offrirono il biglietto aereo per Mosca, dove finalmente poté riabbracciare il figlio.
A  proposito di ingiustizie come non ricordare che in quegli anni, anche andare a studiare a Mosca era un reato? Mio figlio era iscritto ad ingegneria a Modena e come studente universitario godeva del rinvio del servizio militare. Come studente dell’Università di Mosca non usufruiva più di tale diritto e fu denunciato per  renitenza alla leva. Il procedimento a suo carico rimase in piedi anche dopo il riconoscimento della sua qualifica di studente, a seguito del viaggio a Mosca del presidente Gronchi. Conclusione: mio figlio fu costretto a rimanere a Mosca per tutta la durata degli studi, senza mai rientrare in Italia per non farsi arrestare e compromettere il completamento del corso di laurea. 
Alla fine, nel 1962, a laurea conseguita, fu poi assolto dal Tribunale militare di Bologna ed anche esonerato dal servizio militare.

Ecco! Ora siamo all’ultimo atto di questa parabola storica. Oggi a quei traditori della Patria, che si facevano chiamare Brigata Nera della Repubblica di Salò,  si sta per concedere un riconoscimento che li equipara ai partigiani. E del resto non possiamo stupircene, visto che li abbiamo addirittura portati al governo col voto popolare!!

19-02-2005

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