giovedì 21 agosto 2014

2014-08-21 UN VECCHIO PROVERBIO DICE: CHI DI COLTEL FERISCE ...

UN VECCHIO PROVERBIO DICE: CHI DI COLTEL FERISCE DI COLTEL PERISCE
      Durante la dittatura fascista c’era un motivetto che diceva: sotto la man del reo destino, molti son già caduti, molti il carcere ed il confin detiene eppure son cresciuti. Mussolini  si è imposto al potere con la forza delle armi e con le armi è stato soppresso. Secondo me  gli ambasciatori sia in Iraq che in qualsiasi altro paese arabo non debbono essere portatori di armi, ma portatori di  pace. Un esempio l’abbiamo già avuto in Iraq con la guerra e le tragiche conseguenze alle quali stiamo assistendo. Così dicasi con Geddafi e con tutti i paesi dove  l’Amarica con la complicità dell’Europa, vuole mantenere il proprio potere con la forza delle armi.     Questo perché la ribellione dei popoli arabi non è una ribellione di delinquenti, ma dei  popoli che in difesa della propria libertà conducono, a loro dire, una guerra santa contro il potere americano. Purtroppo  di questa tragica situazione subiscono le conseguenze anche gli innocenti.
         Non so se il governo italiano sia andato in Iraq e negli altri paesi come ambasciatore dell’ Onu o per iniziativa del governo italiano.    Comunque sia non è con la violenza delle armi che si porta la pace, ma  si portano  solo delle armi per proseguire i conflitti in corso. Purtroppo con risultati disastrosi cui  stiamo assistendo tuttora e  con delle prospettive purtroppo tragiche per l’Europa e per il mondo intero. Quindi finché siamo  in tempo, cerchiamo di evitare il peggio e non più col potere delle armi, ma come ambasciatori di pace, perché ogni popolo ha il diritto alla sua  indipendenza e alla sua libertà. Questo  dovrebbero comprendere i prepotenti della terra e rinunciare ai loro privilegi. Questo è quanto spero  per evitare le tragiche conseguenze per il nostro avvenire.



leonesacchi.blogspot.it                                               Bologna 21-08-2014


Carissimo babbo, mi dispiace che tu la pensi così, ma nel rispetto delle tue idee, questo mi hai dettato e questo ho scritto.
   Io non so perché tu pensi queste cose oggi. Di certo non la pensavi così quando gli americani lanciavano le armi ai partigiani italiani perché potessero difendersi dagli occupanti tedeschi. Forse però allora anche negli Stati Uniti o in Brasile, qualcuno pensava come tu ora che gli italiani dovevano sbrigarsela da soli e che il compito della diplomazia era quello di predicare la pace.
Corrado




domenica 17 agosto 2014

2014-08-16 IL SOGNO DELLA GRANDE FAMIGLIA ITALIANA
Tempo fa ebbi a scrivere un articolo nel quale dicevo che anche Berlusconi doveva essere partecipe nella grande famiglia italiana, non come despota, ma come componente della famiglia, come rappresentante del 25% della nostra famiglia. Mi son trovato a discutere con molti che dicevano: “Mai con Berlusconi!”. Come se Berlusconi fosse un nemico da trattare da nemico.
Ero anche scettico su quello che diceva Renzi come propaganda e cioè che egli, se fosse stato al governo, avrebbe fatto delle leggi  in grado di risolvere la crisi economica del nostro paese. Adesso che è a capo del governo, penso che sia necessario che la grande famiglia unita sia vicino al governo a proporre tutte quelle soluzioni che sono indispensabili alla ripresa per risolvere la crisi che sta attraversando il nostro paese.
Mi sono anche trovato in disaccordo con i miei compagni del partito comunista [PRC], perché essi si sentono contro il governo, come se avessero la possibilità di dimostrare che anche il partito comunista ha delle proposte che potrebbero essere utili, ma che da soli non troveranno nessun riscontro né nel governo, né nell’opinione pubblica. Perciò forse il mio rimane solo un sogno, che per risolvere la crisi economica del nostro paese ci voglia la partecipazione di tutti i partiti, di tutti i sindacati, insomma, di tutte le componenti della nostra grande famiglia, per cercare uniti una soluzione di emergenza da presentare al governo, perché la approvi e la sottoponga all’esame del Parlamento. In questo modo il nostro governo potrebbe avere una credibilità non solo all’interno del paese, ma anche nell’Europa stessa.
Ho sentito in questi giorni le proposte fatte dall’on. Alfano, che pone in discussione l’eliminazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Non è individualmente che si pongono questi problemi, che creano solo delle liti e delle contrapposizioni da ambo le parti, ma le decisioni che eventualmente sono indispensabili per la ripresa economica del nostro paese, vanno prese unitariamente a tutte le associazioni sindacali, politiche, di qualsiasi tendenza e di qualsiasi formazione. E in questo, penso che anche il partito comunista dovrebbe essere partecipe e come una grande famiglia si deve trovare un’ intesa per migliorare i provvedimenti necessari alla nostra ripresa economica.  
A  proposito del  partito comunista, per il quale simpatizzo, dico che non deve porsi  pregiudizialmente contro tutti, ma all’interno della grande famiglia, proporre anche tutte quelle soluzioni politiche ed economiche  che sono il portato della nostra ideologia. All’interno della grande famiglia questi problemi si possono ponderare, discutere e eventualmente anche essere presi in considerazione e  proposti unitariamente al governo, che potrà  sentirsi forte della partecipazione unitaria di tutta la nazione. Spero che il mio non sia solo un sogno, ma che possa trovare all’interno del paese quella forza che possa sollecitare al più presto possibile la fine della crisi che sta attraversando il nostro paese.
Concludo dicendo che  i privilegiati che oggi detengono il potere e stanno seduti sulle loro comode poltrone facciano di comune accordo i passi necessari perché nella grande famiglia italiana tutti possano avere la loro seggiola per stare seduti.

leonesacchi.blogspot.it                                                                                                                                                            16-08-2014

venerdì 15 agosto 2014

2014-08-13 NELLA RICORRENZA DELLA GUERRA 15-18
UN DELITTO CONTRO L’UMUNITA’
    Nel centenario della guerra 15-18, vorrei fare una piccola introduzione all’argomento.
L’Italia era un paese povero, in prevalenza agricolo, privo di meccanizzazione nel quale tutti i lavori venivano svolti manualmente o con l’aiuto degli animali. L’aratro veniva trainato dai buoi, la terra frantumata con le zappe a forza di braccia, la vite irrorata col verderame con le pompe a mano. I poderi erano per la maggior parte condotti a mezzadria da famiglie numerosissime che dovevano dividere i prodotti del loro lavoro al 50% con il proprietario del terreno. I braccianti agricoli lavoravano al massimo 200 giorni all’anno e col magro stipendio facevano fatica a sbarcare il lunario.
       Queste erano le condizioni in cui si trovava il nostro paese quando il re, come comandante in capo dell’esercito, assecondato da un governo ed una classe dirigente compiacenti, firmò l’entrata in guerra. L’Italia non aveva nessun serio motivo per entrare in guerra. Si adduceva come pretesto la liberazione di Trento e Trieste, come se la guerra fosse l’unica via per ottenerla.
    Questa guerra non voluta dal popolo italiano è costata circa 700.000 giovani vite, tantissimi feriti e mutilati e tante sofferenze e distruzioni. A guerra finita le famiglie piangevano i loro morti e l’Italia era ancora più povera per i debiti contratti per far fronte alle spese militari.
      Durante la guerra i soldati erano stati costretti a scavare delle trincee e delle gallerie sulle montagne per proteggersi dagli assalti nemici. Erano dotati di fucili a baionetta per gli scontri corpo a corpo. Quando uscivano dalle trincee e cominciavano questi scontri, ogni soldato sapeva di poter essere ucciso o di rimanere gravemente ferito. Quello che gli rimaneva ignoto era il motivo per il quale doveva uccidere per non essere ucciso.
Ci furono casi di ammutinamento sia collettivo che individuale, ai quali  i comandanti risposero con i plotoni di esecuzione e con le decimazioni. I soldati dei battaglioni che non avevano rispettato gli ordini venivano messi in fila e cominciava la conta. Uno ogni dieci veniva fucilato. Qualcuno, anche fra gli ufficiali, per non uccidere, andò all’attacco senza armi e fu colpito a morte. Qualcun altro più fortunato trovò qualche ufficiale medico che per non mandarlo alla fucilazione fece carte false per rimandarlo a casa. Altri disertarono e si diedero a forme di banditismo che proseguirono anche per vari anni a guerra finita.
      La guerra 15-18 io l’ho vissuta da bambino e ricordo soprattutto il rientro dei militari che in massa ritornavano ai loro paesi di origine e ricordo ancora le storie delle bande degli sbandati e dei disertori che scorazzavano  anche nelle campagne anche del carpigiano.
      Oggi, a cento anni da quegli avvenimenti, ho voluto descrivere tutti gli orrori che quella guerra ha provocato e la cui responsabilità ricade unicamente sul re e sulle classi dominanti del nostro paese, nella speranza che queste riflessioni siano di monito alle nuove generazioni.
      Le guerre sono sempre e soltanto utili a chi produce armi e si arricchisce sulle miserie altrui e sulle distruzioni di beni materiali. Per il popolo invece le guerre sono soltanto fonti di morti, distruzioni e miseria.

leonesacchi.blogspot.it                           13/08/2014