Premetto che gli eventi che mi accingo a
ricordare non li ho vissuti personalmente e quindi possono non essere esatti in
tutti i particolari e quindi sarebbe necessario, ammesso che sia ancora
possibile, trovare dei testimoni diretti per ricostruire esattamente gli
eventi.
Mio fratello Alfredo, abitava nel caseificio
Tresinaro e conduceva in proprio l’azienda per conto di tutti i fratelli
Sacchi. L’azienda produceva i tipici
prodotti lattiero caseari ed allevava suini. Il latte veniva comperato dai
produttori a prezzo di mercato. Il caseificio, in posizione molto appartata per
quei tempi, si trovava sul confine fra Carpi e Correggio. Era collocato di
fianco al fiume Tresinaro in frazione di Quartirolo, sebbene per raggiungerlo
si dovesse percorrere un pezzo di strada in frazione di Mandrio. Vi si accedeva
da un ponte noto come Ponte di Ferro.
La casa, il caseificio, le porcilaie
divennero ben presto un centro di organizzazione del movimento partigiano, di
cui Alfredo fu il promotore e l’organizzatore.
In casa sua si era costituito il primo
nucleo della resistenza della quale facevano parte i Fancinelli, “Riccio” ed
altri di cui ora non ricordo i nomi. Ospite di quella casa fu anche Sandro
Cabassi, che vi rimase per tre mesi, prima di andare a Modena, per costituire
il Fronte della Gioventù.
Divenne anche inevitabilmente un punto di
richiamo e di aggregazione di giovani renitenti alla leva non sempre o non
ancora inquadrati in formazioni partigiane regolari. Si trattava per lo più di
figli di contadini che abitavano nelle case vicine e che continuavano la loro
vita quasi normale, lavorando di giorno nei campi, magari col fucile a portata
di mano, e facendo qualche azione di sabotaggio di notte.
Nella mattina del 18 Novembre 1944 fu
segnalato l’arrivo di un autocarro militare tedesco, che poteva essere diretto
a Carpi, ma forse aveva di mira proprio
la base partigiana.
Alcuni giovani si acquattarono dentro ad
una scolina al di là dell’argine sul quale correva la strada, in territorio
reggiano, e cominciarono a sparare verso l’autocarro, che si trovava all’altezza del ponte di ferro. Da
lì alcuni cecchini cominciarono a sparare con un fucile di precisione, che noi
chiamavamo “tac-pum”, dotato di una gittata lunghissima e colpirono a morte il
giovane Campedelli, impedendo agli altri di defilarsi e di sottrarsi al fuoco.
Intervenne a questo punto un altro giovane
del luogo, Guerrino Rossi, detto Guerra, che piazzatosi a ridosso dell’argine
con una mitraglia, costrinse i tedeschi alla ritirata, salvando i suoi compagni
e consentendo il recupero del cadavere di Campedelli.
A quel punto cominciò la rappresaglia che
però stranamente non si rivolse verso le case più vicine al luogo dal quale era
provenuto l’attacco, cioè verso le case del reggiano. I tedeschi e
successivamente i fascisti attaccarono tre case poste nella parte modenese,
cioè alle loro spalle. Questo mi da adito a pensare che l’obiettivo del comando
tedesco poteva essere proprio la base
partigiana.
Per fortuna Alfredo era fuori casa ed i
partigiani e tutti gli uomini che ancora
erano in zona avevano fatto in tempo ad allontanarsi. Rimanevano solo donne e
bambini che se la cavarono con grandissimo spavento, allineati contro un muro e
sotto la minaccia delle armi.
Dal caseificio furono portate via tutte le
forme di formaggio, i maiali, abiti a suppellettili e tutti i prodotti
alimentari, comprese le galline. La stessa sorte subirono le case contigue di
Pignatti e di Martinelli ai quali rubarono le vacche e tutte le cose di un
certo valore. La razzia durò due giorni e terminò con l’incendio delle tre
case. In quella occasione si distinse la figlia del padrone del podere sul
quale lavorava la famiglia Gozzi, a poche centinaia di metri dal caseificio.
Era fidanzata di un fascista di Correggio, e selezionava le cose di maggior
pregio da rubare.
A guerra finita fu presa dai partigiani, le
furono rasati i capelli e fu consegnata a Mammanina per un periodo di rieducazione.
Va ricordato soprattutto l’altruismo ed il
coraggio di quasi tutte le donne del
vicinato che, mentre imperversava la razzia, si prodigarono per salvare
il salvabile e riconsegnarlo ai legittimi proprietari. Infine merita di essere
ricordato un soldato tedesco che, dileggiato dai suoi, aiutava le nostre donne
a salvare le cose più pesanti.
Il cippo che ricorda il sacrificio del
giovane Campedelli si trova ancora sulla strada per Correggio poco dopo il
ponte che separa i due comuni.
Io sono lontano da Carpi ormai da molti anni
e potrei non essere molto informato, ma temo che quell’evento sia stato quasi
dimenticato. Spero che queste poche righe possano sollecitare qualche
partigiano ancora vivente o qualche suo famigliare a completare il quadro di
quei tragici eventi.
Leone Sacchi Bologna
22-1-2012
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